A tu per tu con i “The Ties”: stranieri in patria, acclamati in Europa

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A tu per tu con i “The Ties”: stranieri in patria, acclamati in Europa

thetiesdi Marco Montini
Stranieri in patria, ambiti rockettari in Europa. È un po’ questa la vita dei “The Ties”, giovane e talentuosa band nata dalle ceneri di un vecchio gruppo. Un cambio di rotta, avvenuto nel 2012, con la sostituzione del nome in The Ties appunto, e di un compenente, il batterista: mutamenti artistichi che hanno condotto i cinque artisti della Capitale ad identificare la loro musica in un rock britannico di base 70niana riletta in chiave moderna. “Noi siamo un bel quintetto – racconta divertito Matt -, ma la formazione cambia in secondo le necessità. La base è formata da me che canto e suono una delle due chitarre, Luke (o the GreatL) che fa la seconda chitarra e cori, Sangy (basso) e Gabbo alla batteria. Di norma ci affianca anche Icaro che si alterna alla voce con me e che suona il tamburine e l’organo, ma è capitato in alcuni live che non potesse essere presente, come ad Helsinki”.
Voi siete un gruppo giovane: avete appena un anno e nascete dalle ceneri dei The Coock. Ci racconti come è nato tutto?
(risponde Icaro): “Il gruppo precedente era nato quasi per gioco. Lo stesso nome era un gioco di parole. Ci eravamo conosciuti tramite annunci e università e volevamo divertirci facendo musica divertente e nulla più. Ad un certo punto abbiamo deciso di fare sul serio e abbiamo preso la strada odierna, che richiede un grande impegno e tanta pazienza, sopratutto nella ricercatezza dei suoni, ma le soddisfazioni sono decisamente migliori!”.
Il vostro genere è un accattivante garage/rock/blues. Perché garage, perché rock, perché blues?
(Risponde Sangy): “Questa è una domanda a cui è difficile rispondere! Perchè garage? Perchè nella composizione ricerchiamo un suono sporco e d’impatto immediato. La venatura rock invece diciamo che è il motore principale di ogni pezzo, che deve essere sempre dotato di quella forza che solo il rock conosce. Perchè blues? perchè è la base di tutto. Ogni gruppo a cui facciamo riferimento prende ispirazione da giri blues, che noi poi stravolgiamo portandoli a semplici accenni, come prima di noi hanno fatto beatles, rolling stones e via dicendo”.
Dal vostro sound ci sono chiari rimandi a leggende quali Oasis e White stripes. Ce lo confermi? Cosa amate di loro?
(risponde Luke): “Te lo confermo appieno. Per noi il loro modo di suonare, i primi di ispirazione britiannica, i secondi di ispirazione blues americano, è un esempio da seguire: riff, suoni aggressivi, groove e anche un pò di strafottenza sono l’essenza e l’eredità di un rock che ormai in pochi seguono. Forse  gli ultimi reduci di tale animo sono i black keys e i black rebel motorcycle club, band che apprezziamo molto”.
Vi siete esibiti in molti locali di Roma e addirittura in Europa. Dove forse avete riscontrato un successo ancora maggiore: mi viene in mente la splendida perfomance di Helsinki. Che differenza ci sono tra il pubblico italiano e il resto d’Europa?
(risponde Gabbo): “Leviamo anche il forse! In europa esiste una cultura musicale che in italia neanche ci sognamo. I gruppi emergenti non vengono valutati per il nome o i fan, ma per la musica che fanno. Helsinki in particolare è stata una sorpresa stupenda: siamo arrivati sconosciuti e siamo andati via con molte persone che ancora ci contattano, tanti amici, e qualche opportunità da valutare in futuro. La differenza fondamentale però che vogliamo sottolineare è che non solo vieni apprezzato e valutato senza pregiudizi, ma che la gente partecipa, balla, urla, e a volte ti acclama. E in fondo è questo quello che chiede un musicista e che in italia raramente capita se non sei famoso”.
Secondo voi è difficile sfondare in Italia? C’è preconcetto nei confronti della giovani band che suonano bene il rock come voi?
(risponde Matt): “In italia è già difficile suonare, figuriamoci sfondare! I locali chiedono innanzitutto quanta gente potrebbe venire al concerto, come seconda cosa se hai un etichetta. Come può un gruppo sfondare se i rappresentanti delle etichette vengono solo ai concerti di certi locali in cui non puoi suonare? Il preconcetto non credo che ci sia. Quello che c’è è solo la voglia di monetizzare con le canzoni delle band, per cui non c’è la voglia di scoprire la musica buona, ma solo di venderla. Così avremo sempre di più artisti nati e costruiti dai talent show”.
Cosa bolle in pentola per il futuro? Un disco?
(risponde Matt): “In questo momento ci stiamo occupando della registrazione di un ep di tre pezzi. E’ piuttosto complesso perchè la nostra volontà è registrare con strumenti vintage, quali registratori a nastro o cose simili, per cui il missaggio e il post editing è difficile, avendo quasi nessuno studio questi mezzi. Di conseguenza stiamo registrando le singole tracce che verranno poi mixate con dei mezzi analogici/digitali, sperando che il risultato sia soddisfacente”.
C’è odore di tour?
(risponde Gabbo): “Riguardo al tour la questione è piuttosto in divenire. Di sicuro torneremo ad Helsinki, dove più di un locale ci ha chiesto già di tornare. E nel frattempo stiamo lavorando a una idea un pò matta, ma che ancora non sappiamo come realizzare. Ci impegnerà tutta l’estate l’organizzazione di questo che per noi è un sogno, e che vogliamo confessarti: partire dall’italia con un camper per realizzare una sorta di interrail in tutta europa, fermandoci ogni giorno in una città pronta ad ospitare un nostro concerto. E’ complesso da organizzare perchè siamo in questo momento in trattative con vari management, e quindi dobbiamo valutare insieme le possibilità logistiche ed economiche, ma siamo ottimisti!”.