Con le briciole non si crea lavoro

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Con le briciole non si crea lavoro

Falascadi PIERCAMILLO FALASCA*

La politica delle briciole. Il piano per il lavoro che il governo sta per tradurre in un decreto-legge alimenta l’illusione che con qualche spicciolo in più alle imprese, nella forma di un sussidio fiscale per le assunzioni degli under 30, si possa contrastare con successo la piaga della penuria di lavoro per i più giovani. Si leggeva in un editoriale sul Foglio di ieri: “la politica italiana affronta l’argomento della disoccupazione giovanile con ipocrisia, come se fosse il frutto di una discriminazione anagrafica da contrastare con misure ad hoc che inducano le imprese ad assumere i più giovani”. I giovani non sono disoccupati in quanto giovani, sono disoccupati perché non c’è lavoro. E nessun misero sussidio temporaneo – peraltro finanziato con l’utilizzo di fondi destinati alla spesa per investimenti, quindi a danno del capitale infrastrutturale – può “creare” nuovo lavoro. Peraltro, stando alle prime notizie di stampa, sembra che gli incentivi siano limitati ai 18-29enni senza lavoro da almeno sei mesi, senza un diploma di scuola superiore, con persone a carico. Di fatto, se questa sarà la formula finale del provvedimento, si tratterà di un incentivo all’occupazione scarsamente qualificata. Gli under 30 disoccupati e privi di diploma andrebbero semmai sussidiati con le stesse risorse perché partecipino a corsi di formazione che consentano loro di qualificarsi professionalmente. Da un governo nato nella straordinarietà ci si aspetterebbero misure eccezionali. Enrico Letta è troppo preparato per non sapere che l’unica strada percorribile per l’Italia è un’aggressione diretta del problema centrale: l’asfissiante pressione fiscale sul lavoro e le imprese, da ridurre significativamente con un piano “di guerra” di riduzione di qualche decina di miliardi di spesa pubblica. Questo implica compiere delle scelte drammatiche, eliminando privilegi di cui godono milioni di italiani in favore di misure capaci di dare un beneficio ampio e generalizzato. Il resto è mera amministrazione di un declino più o meno graduale. Un esempio di spesa da tagliare? Quella pensionistica, con un ricalcolo con il sistema contributivo di tutte le pensioni superiori ad una soglia minima, tra le tante che ancora oggi beneficiano per intero del vecchio sistema retributivo. Ma di esempi – visionari solo per chi si è assuefatto al piccolo cabotaggio – se ne possono fare molti. Il miliardo e trecento milioni messo in campo per il piano lavoro potrà forse accelerare la stabilizzazione di qualche giovane dipendente o favorire la stipula di qualche decina di migliaia di contratti in più (alcuni dei quali, magari, sarebbero stati stipulati anche senza l’incentivo), ma il problema della disoccupazione e dell’inoccupazione oggi si calcola in milioni di unità e necessita di una strategia radicale di riforme, sul piano della liberalizzazione del mercato del lavoro subordinato e autonomo e sul piano fiscale. Per generare nuova occupazione – sicura e ben pagata – occorre dare risposte di ampio respiro e non le briciole. Molti, troppi giovani italiani stanno ormai emigrando in cerca del pane.

*da Libertiamo.it