Il compositore Hans Werner Henze è morto lo scorso sabato 27 ottobre all’età di 86 anni a Dresda, dove si trovava per un concerto in suo onore alla Semperoper. Con il suo enorme catalogo di composizioni, comprendente dieci sinfonie (sfatando tra l’altro il mito romantico, nato dall’opus beethoveniano, dell’insuperabilità del numero nove), le oltre trenta opere dedicate al teatro musicale e al balletto, le decine di lavori per solista e orchestra, di musica da camera e per strumenti solisti, Henze è considerato il diretto prosecutore della grande tradizione di compositori di area mitteleuropea, che parte da Bach e passando attraverso Mozart, Beethoven, Schubert, Brahms, Wagner, Mahler e Schoenberg arriva fino ai nostri giorni. A conferma di ciò, Henze era stato nominato quest’anno compositore residente presso la Staatskapelle di Dresda (una delle orchestre più antiche d’Europa) e nello scorso febbraio aveva terminato di comporre un brano commissionato per la celebrazione degli 800 anni dalla nascita del coro della Thomaskirche di Lipsia, la chiesa che ebbe per 27 anni come Kantor Johann Sebastian Bach, dal 1723 fino alla sua morte nel 1750. La notizia mi arriva in mattinata durante una prova con il mio violista della Sonata “Arpeggione” di Franz Schubert. Subito mi torna alla mente il nostro ultimo incontro lo scorso febbraio nella sua dimora di Marino, poco più di un chilometro in linea d’aria dalla mia casa: la splendida villa della Leprara, un tempo tenuta di caccia della famiglia Colonna, dove all’ombra dei suoi millenari ulivi si incontravano Michelangelo e Vittoria Colonna. L’amore di Henze per l’Italia e in particolare per i Castelli Romani nasce seguendo le orme di Goethe nell’estate del 1951: la luce di un tramonto, il lago Albano e una serata all’aperto in una trattoria di Frascati lo sedussero nel profondo e lo legarono per sempre a questa terra. Nel ’53 si trasferisce definitivamente in Italia, prima a Napoli e Ischia (dove abitavano anche Luchino Visconti e William Walton), poi a Roma e a Castel Gandolfo, sulle sponde del lago, infine dal 1966 proprio a Marino alla Leprara. Insieme all’Italia il Maestro si innamorò anche della chitarra: Henze mi raccontò di essersi avvicinato alle sei corde ispirato dai suoni delle strade di Napoli e dalle numerose rappresentazioni nei quadri di Picasso, definendo chiaramente già nel suo primo approccio la secolare e duplice anima popolare-colta dello strumento. Ci sono dei brani che, dopo averli studiati a fondo ed eseguiti in pubblico, lasciano un segno indelebile, diventando una sorta di chiave di volta nel percorso artistico di un musicista. Così è successo con i suoi Drei Tentos, ispirati a liriche di Hölderlin, che hanno svegliato in me sei anni fa la curiosità e la passione nei confronti della musica del ventesimo e ventunesimo secolo. Difficile descrivere a parole le mie emozioni nel momento in cui lo scorso febbraio mi sono trovato a suonare questi pezzi in un concerto privato nel grande salone della Leprara, di fronte al compositore stesso (un’analogia potrebbe essere per un attore poter recitare un monologo dell’Amleto al cospetto di Shakespeare in persona!). Ero di ritorno da una tournée in Giappone e nei miei recital avevo proposto anche i suoi Tentos. Il suo modo di distillare le parole, riempiendo le conversazioni di lunghe (all’inizio quasi interminabili) pause, portava spesso la mia attenzione ai suoi profondi occhi blu, sprizzanti una magnetica vivacità e una curiosità fuori la norma. Con il suo linguaggio musicale personalissimo, privo di dogmatismi, è stato sempre in bilico tra sperimentazione e tradizione, lirismo e atonalità, impegno etico e esigenza espressiva. Lavoratore instancabile fino all’ultimo, componeva tutti giorni nel suo studio su una grande scrivania in legno di ciliegio con un piano di lavoro regolabile costruita decenni fa da un artigiano locale, immerso tra carta pentagrammata, temperamatite elettrici, metronomi e cronometri. Amante della letteratura, delle arti figurative, della mitologia, della natura e della bellezza in generale, la sua vita e la sua musica, sempre indissolubilmente legate, ci restano come esempio e testimonianza di un grande Artista, vero monumento della musica contemporanea.
Marco Del Greco