(Diregiovani.it) – Volendo partire da una prima definizione filosofica,
il piacere era inteso da Epicuro: “quell’istante (quasi impercettibile)
in cui un bisogno viene soddisfatto e una mancanza viene colmata” (Epistola a Meneceo, 128);
dunque il piacere è il senso di viva soddisfazione che deriva dall’appagamento di desideri, fisici o spirituali, come pure di aspirazioni di vario genere. Nel suo significato più immediato e corrente il termine è sinonimo di godimento o di esaltazione dei sensi. I piaceri, che sono connessi al bisogno e al desiderio, sono quelli a cui più facilmente perviene la generalità degli individui e proprio in forza della loro accessibilità e diffusione, dell’immediatezza del godimento che danno, sono ritenuti i piaceri per eccellenza. Nel piacere l’altro è esperito come momento e occasione della propria crescita e insieme come oggetto per il raggiungimento di un benessere fisico ed emotivo.
Una pratica adeguata del piacere non si risolve nell’istantaneità, ma si articola nella distanza e nel procrastinare tale desiderio, dunque sfuma il piacere per ritrovarlo, soprattutto per tenerlo costantemente su di sé. Pertanto un più raffinato impiego della sensibilità, può permettere una trasformazione del piacere istantaneo ed effimero, in uno piú durevole e stabile. Tale passaggio viene reso difficile da una società in cui predominano un godimento immediato, un bisogno urgente di gratificazione, una necessità di esibirsi e di esporsi.
I risultati di una ricerca dell’Università della Georgia confermano come sempre più spesso i ragazzi ricorrano ai social network (come instagram e snapchat) per riscuotere consensi ed apprezzamenti, questi canali offrono un porto al quale ancorare il racconto di se stessi. Quindi si assiste ad una maggiore manifestazione di comportamenti puramente edonistici, che possono sfociare nell’oversharing, cioè la condivisione in rete di ogni minimo dettaglio della propria vita privata con una platea non sempre conosciuta. Sui social network si verifica inoltre un fenomeno di imitazione: più gli altri mostrano foto e aspetti di sé, più siamo trascinati a mostrare e a condividere tutto, come se fossimo all’interno di un teatro che assomiglia a un “grande confessionale”. La riservatezza e la distinzione tra ciò che è individuale e collettivo non è più tanto netta.
A tal proposito alcuni scienziati della Harvard University hanno tentato di darne una spiegazione biologica. Un articolo pubblicato sulla rivista “Proceeding of the National Academy of Sciences” illustra come il 30- 40% delle comunicazioni tra individui vertono su argomenti di tipo personale e la percentuale raggiunge l’80% se trattasi di social network. Diana I. Tamir e Jason P. Mitchell, autori di questa ricerca, si sono dunque chiesti cosa spinge l’essere umano a cercare di condividere le proprie esperienze con gli altri. L’ipotesi è quella che l’essere umano riceve da questo comportamento un rinforzo positivo, una qualche gratificazione che fa sì che il comportamento si possa ripetere. I due studiosi hanno sottoposto i soggetti inclusi nella loro ricerca ad un’indagine con risonanza magnetica funzionale proprio nell’atto di raccontare sé stessi o di formulare congetture e ipotesi sulle opinioni di un’altra persona. È emerso così che il comunicare agli altri i propri pensieri, emozioni, riflessioni è correlato fortemente con l’attivazione di aree cerebrali deputate alla percezione di un senso di gratificazione e di piacere. La riflessione degli autori li conduce ad affermare che il piacere di parlare di sé agli altri è simile a quello, definito primario, che è intrinseco al cibo ed al sesso.
In conclusione, il piacere femminile rischia di svilirsi e perdersi in questi canali dell’immediatezza, sfuggendo da quella prospettiva dell’edonè femminile associata anche ad uno stato di quiete, ad un interesse per gli studi, gli amici, la musica, la conversazione, l’intimità, la confidenza, la fiducia, l’amore, insomma la sperimentazione di tutti quei luoghi del piacere non ancora esplorati.
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