“La metà si perde per strada. In Italia l’acqua fa acqua: non è solo la nota e annosa (ma mai risolta) questione delle perdite della rete nazionale degli acquedotti, da cui sparisce circa il quaranta per cento della risorsa idrica trasportata dalle fonti alle utenze domestiche. C’è di più e di peggio: fa acqua un sistema di governance che è un colabrodo di inefficienza e su cui nessun governo si azzarda a mettere le mani. Qualche numero per comprendere meglio: nell’Unione europea la spesa media in termini di investimenti nel settore idrico è di 82 euro l’anno per abitante. In Italia siamo a meno della metà: 38 euro. Il paradosso è che questo disastro nasce da una condizione naturale ottimale: l’Italia vanta infatti un patrimonio idrico fra i più ricchi in Europa, e solo adesso la riduzione delle precipitazioni e l’aumento delle temperature stanno determinando una progressiva diminuzione della disponibilità idrica e un’intensificazione delle crisi che mettono a nudo la vulnerabilità del sistema idrico nostrano. Una situazione che è ben nota anche a Bruxelles, che ha infatti aperto contro l’Italia ben 939 procedure di infrazione, riguardanti in specie l’inadeguatezza dei servizi di fognature e depurazione, e che per il settantadue per cento dei casi riguardano regioni del Sud. Il consumo idrico in Italia, anzi, in termini tecnici più corretti (la ripartizione dei prelievi idrici), si divide in tre parti: uso civile, agricoltura e industria. Il primo è l’acqua potabile dei consumi domestici ma anche degli esercizi commerciali e degli uffici: è l’acqua che usiamo per bere, mangiare e lavarci, e pesa poco meno di un terzo del totale, il trentuno per cento. La fetta più grande 56% è usata nel sistema agricoltura (es. irrigazione). Solo il 13% viene usato dall’industria. Eppure i soldi ci sarebbero. Anzi, ci sarebbero stati: peccato che dei fondi Ue a disposizione degli acquedotti ne usiamo appena il 40%, cosa che ci pone agli ultimi posti nell’Unione Europea. Intanto stiamo vivendo il miracolo dei fondi Pnrr: sono disponibili quasi 3 miliardi già ripartiti, tra cui 900 milioni per ammodernare i tubi colabrodo; 600 milioni per le fognature; e 500 milioni per il monitoraggio. Il resto dovrebbe essere utilizzato per ammodernare tutta l’impalcatura del sistema acqua ambiente. Naturalmente tutto è stato già assegnato. Una cosa è da mettere subito in chiaro: l’acqua è pubblica e di tutti. Il problema non è la proprietà dell’acqua, ma chi ne gestisce la distribuzione. E siamo al rompicapo. Il settore idrico in Italia è regolato dalla legge Galli del 1994, che avrebbe dovuto attuare in Italia il concetto europeo di Sii, Servizio idrico integrato, dove si disegna il ciclo dell’acqua dalla raccolta alla distribuzione fino al ritiro con le fognature e alla depurazione. Tutta teoria. Intanto le multe inflitte dalla Unione Europea fioccano e a pagare è lo Stato italiano, quindi i cittadini italiani”.
Lo dichiara in una nota il referente nazionale di Sa Cosa, comitato spontaneo di cittadini – amici per la verità, Rocco Tiso.