L’accusa di nazismo contro chi lavora‏

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L’accusa di nazismo contro chi lavora‏

ProfughimarchiCi timbrano quando entriamo in discoteca, all’università ci danno un numero, la matricola, ci costringono a scriverla sui nostri test al posto del nome, quando andiamo a comprare degli affettati ci obbligano a prendere un numero e quando sarà il nostro turno, grideranno quelle cifre, alla posta la lunga attesa è accompagnata dallo scorrere dei numeri sullo schermo, dopo qualche ora quel “C80” diventa il nostro nome. Forse la nostra identità è violata e noi ci abbiamo fatto il callo, dovremmo ribellarci perchè tutto questo rimanda alla tragedia dei campi di sterminio, oppure questo paragone è una invenzione di chi non ha argomenti per porre in essere delle critiche con dei contenuti e sostenuto dal buonismo dei più accusa di nazismo chiunque tenti di risolvere un problema scomodo, scomodo sopratutto a chi lucra sulla non-soluzione del problema. Equiparare un marchio a fuoco, un tatuaggio, ad un pennarello che lavando con acqua e sapone va via, accusare di nazismo dei funzionari che tentano di ristabilire l’ordine nel rispetto dei diritti di tutti, è un atteggiamento  tipico di chi vuole fomentare l’odio, aizzare contro le istituzioni delle rivolte, usando la disperazione dei migranti. Le accuse mosse su quanto accaduto a Budapest è indicativo della malafede della nostra classe  dirigente, la stessa che con le cooperative lucrava sulla pelle dei disperati.

Emanuele Ranucci