L’EDITORIALE: Al-Fini e la scoperta del quid

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L’EDITORIALE: Al-Fini e la scoperta del quid

angelinoalfano2di Daniele Priori

Il colpo di teatro di Silvio Berlusconi sconvolge ancora una volta la politica italiana. Il voto di fiducia al Governo Letta lascia stupiti e non poco interdetti. Una fiducia che arriva dopo giorni di passione, dimissioni annunciate e ritirate (dai parlamentari), date dai ministri e rifiutate da Letta. Giorni di pathos e corde tirate fino quasi a spezzarsi. Nel mirino di Berlusconi e della sua nuova residenza trasferita, ad uso arresti domiciliari a Palazzo Graziali, ci sono stati Palazzo Chigi e addirittura il Quirinale, accusato di intromissioni indibite sull’ultima sentenza della Cassazione, quella degli oltre 500 milioni di euro dovuti da Berlusconi a De Benedetti. Una brutta storia fatta di brutti pensieri e brutte parole. Nel mezzo le sorti dell’Italia, la preoccupazione dell’Europa, l’incertezza su un turno elettorale con una legge elettorale sub iudice che avrebbe fatto ridere o piangere il resto del mondo, un leader indiscusso ma pronto ad essere arrestato, sia pure ai domiciliari, appena dopo la decadenza da senatore su cui si è giocata e – chissà – forse continua a giocarsi la partita di sopravvivenza del Governo Letta.

Di buono, forse, c’è solo la notizia che il segretario del Pdl nominato e benedetto da Berlusconi ma poi, già prima delle ultime elezioni politiche, bocciato con un lapidario “gli manca il quid”, pare che questo “quid” mancante l’abbia trovato.

Qualcuno volgarmente ha parlato di attributi. Altri di semplice attaccamento alla sedia, talora più prepotente degli attributi. I più ottimisti di amore per l’Italia e di nascita, forse, di una benedetta “nuova destra euorpea”. Qualcosa che, dalle parti di Berlusconi, dei suoi falchi, delle sue erinni e della pitonessa dev’essere visto al pari dei trentatre denari di Giuda.

Il punto, tuttavia, e il voto di fiducia al Governo Letta dato con la faccia truce e “non senza travaglio” da Berlusconi apre un nuovo caso Pdl.

Il partito si sarà pure ricompattato ma per la prima volta non sulle posizioni del presidente dominus Berlusconi ma del delfino Alfano (già ribattezzato dalla Mussolini Al-Fini con un chiaro riferimento all’ex leader di An e cofondatore ribelle scissionista del Pdl).

Non c’è stata alcuna scenata plateale ma chissà che stanotte, testimone il barboncino Dudù, a Palazzo Grazioli Alfano non abbia puntato un altro dito, dopo quello di Fini dell’aprile 2010, dimostrando al capo di aver trovato il quid, in nome del popolo italiano. Esattamente come in nome del popolo italiano è stata la sentenza definitiva in seguito alla quale la decadenza da senatore segnerà la fine di un leader e la nascita di una destra diversa o meglio più vicina all’Inghilterra, alla Germania, alla Spagna, meno, una volta tanto, alla Russia dell’amico Putin. Amico del capo decaduto.