Dopo il debutto in prima nazionale a Tindari in provincia di Messina, arriva nel Lazio lo spettacolo “LE TROIANE – Variazioni sul mito”, un progetto Mitipretese
di Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti e Mariangeles Torres, drammaturgia e regia di Mitipretese e Luigi Saravo, spettacolo realizzato in collaborazione con Artisti Riuniti. Lo spettacolo sarà in scena il 18 luglio a Malborghetto (Rassegna Teatri di Pietra all’area archeologica di Malborghetto ), il 19 luglio a Sutri (Rassegna Teatri di Pietra all’Anfitetro di Sutri ), il 20 luglio a ostia antica (Teatro Romano degli Scavi Archeologici di Ostia Antica – Via dei Romagnoli, 717).
Mitipretese, dopo il grandissimo successo di “Roma ore 11” e “ Festa di famiglia” sono di nuovo insieme e si aprono alla collaborazione di Luigi Saravo per dare vita, voce e canto ad un nuovo spettacolo tratto da “ e Troiane” di Euripide. Per le caratteristiche del lavoro la drammaturgia dello spettacolo sarà centrata esclusivamente sulla presenza in scena delle quattro figure femminili create da Euripide. Tutti gli altri personaggi e il coro verranno assorbiti quindi dalla vita scenica di Ecuba, Elena, Andromaca e Cassandra.
Il pubblico prende posto in sala. La scena è spoglia, scandita da ciò che resta dopo la guerra. Un cumulo di vecchie valige, un tavolo divelto, sedie spaiate seminate attorno, resti di detriti e utensili, in fondo un muro coperto da vecchi drappi di tela. Una donna percorre la platea, smarrita, confusa. Si agita, e altre due la raggiungono a calmarla. E’ la fine della guerra e presto le donne rimaste saranno spartite dai vincitori. Poi le tre superstiti abbandonano il pubblico sotto il richiamo di una sirena, come se ancora qualcosa dovesse colpirle, come se ancora ci fosse qualcosa da cui potersi difendere. Le donne raggiungono il muro e tolgono i drappi. Ecco, su quel muro appaiono i volti di tutti quelli che la loro guerra ha ingoiato. E’ l’inizio della tragedia. Ecuba, Andromaca e Cassandra di lì a poco entreranno in contatto con Elena, colei che è stata la causa di ogni loro male.
L’attesa per le loro sorti le porterà attraverso la loro memoria a gettare uno sguardo verso il tempo a venire, un tempo privo di senso, distante da ogni legame con il mondo che fino ad allora avevano conosciuto. In quest’attesa ognuna delle quattro cercherà di trovare il modo di sopravvivere, portando via con sé, nella propria valigia ciò che gli consentirà di farlo. Per Cassandra sarà la vendetta, per Andromaca l’amore per il proprio figlio, per Elena la bellezza, e per Ecuba la memoria di ciò che è stato, di quello che ora è, e di cosa sarebbe potuto essere.
Questo allestimento delle troiane si concentra su queste quattro figure femminili, quattro donne antiche e ancora capaci di raccontarci i segreti recessi della nostra costituzione profonda.
Abbiamo cercato di rendere concreta e vitale la parola di Euripide, abbiamo lasciato che attraversasse i corpi di chi era in scena per lasciarla risuonare nella sua assoluta vibrante, tragica bellezza.
COS’E’ MITIPRETESE?
“Mitipretese” nasce dall’incontro di quattro attrici, tutte diplomate all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” di Roma. Dopo avere lavorato con alcuni tra i più grandi artisti italiani nel 2005 Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti e Mariangeles Torres hanno deciso di ricavarsi uno spazio e un tempo per lavorare insieme, in completa autonomia, con l’intenzione di trovare testi teatrali che raccontassero un femminile diverso e che affrontassero – al di la del genere – le grandi questioni dell’etica, della politica, della scienza, del lavoro.
All’origine del progetto era anche l’intenzione di partecipare attivamente all’elaborazione dello spettacolo: perciò il gruppo firma collettivamente sia la regia che la drammaturgia delle proprie messinscene.
Gli spettacoli ad oggi realizzati sono Roma ore 11 dall’omonimo libro-inchiesta di E. Petri (“Premio ETI – li Olimpici del Teatro”
2007, come “migliore spettacolo di innovazione”, Festa di famiglia da testi di L. Pirandello con la collaborazione di A. Camilleri (“Premio Alabarda d’Oro – Città di Trieste” come migliore spettacolo dell’anno .
NOTE SULLO SPETTACOLO di Luigi Saravo
Spesso ci si accosta a un testo perché sentiamo che ci parla in modo particolare, per le sue suggestioni formali, o perché è capitato e basta. Poi, man mano che ci inoltriamo nel lavoro di prova cominciamo a scorgere la sua sostanza, emergono i temi, la sua forza, i suoi limiti o il suo potenziale.
Di fronte alle troiane sapevamo che il materiale, quest’ininterrotto canto di morte e di vita, poteva riservarci molto, ma forse nessuna, nessuno di noi, avrebbe saputo immaginare cosa.
Il lavoro è cominciato da un’esplorazione del testo attraverso le improvvisazioni e non c’è voluto molto perché la potenza dei temi e delle situazioni aprisse in ognuno di noi varchi profondi, perché qualcosa ci travolgesse, come una risata o un singhiozzo che ci scuota il corpo senza che nemmeno un perché possa essere sussurrato nella nostra mente.
Le troiane ci si è aperto tra le mani mostrandoci cose che forse, francamente, ognuna e ognuno di noi si sarebbe evitato. Durante il lavoro sono emersi richiami profondi, sconosciuti eppure vicinissimi. Quotidiani ed antichi quanto gli esseri umani. Il lutto, la perdita, la distruzione della guerra, i legami spezzati, l’immagine stessa dell’umanità che deflagra come un edificio che si sbricioli sotto la terra che tremi.
Eppure dietro tutto questo dolore, dietro le cortine di fumo che si levano dalle ceneri di questa città distrutta, ecco apparire la vita. La vita perduta eppure che chiama, attende, canta. La vita che sente e conosce solo una parola: necessità, necessità della vita stessa per sé stessa. La grande, tragica, visione greca dell’esistenza, dominata da una luce che noi occidentali, oggi, siamo a stento in grado di riconoscere e che, pure, chiara, ci chiama.
Ed ecco allora: dove il deserto aveva inghiottito ogni cosa, qualcosa rinasce. Proprio là, dove nulla sembrava più possibile, qualcosa fiorire ancora. Non è una nuova prospettiva, non una speranza, un progetto, un pensiero, è il respiro che ancora anima i corpi di chi è sopravvissuto, che lentamente torna a soffiare, potente, come se quei corpi fossero stati purificati dal dolore, e adesso risplendessero nella loro assoluta purezza, nella loro prima e ultima necessità: la vita stessa.
Nel nostro lavoro i corpi di queste donne, annientati e purificati, dolenti e luminosi, hanno lasciato trasparire i loro tratti nei volti di chi le interpretava. Ecco la vera, grande possibilità del teatro, la sua unica, grande, magia: avere la possibilità di veder affiorare l’umano dal corpo di chi abita la scena, la capacità di mostrarne le estreme possibilità attraverso la sua rappresentazione.
Molte volte il nostro gruppo di lavoro si è trovato in rapporto con questa possibilità e se, durante il lavoro con il pubblico avremo, anche solo in parte, la capacità di condividere la nostra esperienza, allora, per quella sera, ciò che facciamo avrà avuto la sua ragione e il suo senso.
Il percorso di lavoro che abbiamo compiuto, si è concentrato sulle quattro figure preminenti della tragedia, e saranno questi quattro personaggi, interpretati da Alvia, Sandra, Manuela e Mariangeles a presentarlo in scena, ma in questo viaggio non sono state sole. Durante le prove hanno condiviso intimamente la loro ricerca con Cristian, Emanuele e Claudia. Condiviso significa che i gesti di questi compagni di viaggio, i loro pensieri, le loro emozioni, i loro corpi, hanno lasciato impronte indelebili nel lavoro che il pubblico potrà vedere. Perché Manuela, Mariangeles, Alvia e Sandra, hanno accarezzato i loro volti e da loro sono state accarezzate, con loro in scena hanno pianto e riso, sono state da loro vessate e consolate, accompagnate e sedotte, perché con loro, sussurri, baci, colpi e parole, hanno reso reale e vivo il momento delle prove.
Non potremo mai, fino in fondo, essere pronti per questo spettacolo. Non sapremo mai dove potrebbe portarci. Potremo solo aprire la condivisione del nostro percorso al pubblico. Potremo capire e imparare attraverso questa condivisione un poco di più, compiere ancora un passo ed accorgerci, allora, di tutto quello che ancora ci sfugge.
Comunemente si dice che Le Troiane parli della guerra, ma, forse, è la guerra che parla a noi attraverso questa tragedia. La guerra, il cui orrore mette in luce quello che costantemente perdiamo di umano nelle nostre vite. La guerra che non ha mai abbandonato l’uomo, il suo specchio, la sua fine e il suo inizio. Laddove si riuscisse a bandire dalla terra ogni guerra, forse, l’uomo scoprirebbe che tutto quello che fino ad allora pensava fosse la propria immagine era, alla fine, soltanto inganno.