Le lobbies di politici e cardinali italiani privi d’imbarazzo surclassate dalla forza della tenerezza di Papa Francesco

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Le lobbies di politici e cardinali italiani privi d’imbarazzo surclassate dalla forza della tenerezza di Papa Francesco

papa francesco lampedusadi Daniele Priori

Sempre di più ciò che accade in Italia ha i contorni della poca serietà. O peggio della tragicommedia. Dell’inopportunità che a volte farebbe bene a trasformarsi in imbarazzo. Ma questo non capita perché troppo tronfi sono i protagonisti del “teatrino della politica” (per usare una espressione profondamente berlusconiana), i quali insistono a prendersi sul serio anziché arrossire, come forse invece dovrebbero.

Basterebbe guardare ciò che avviene attorno. I modelli etici e – ce lo consentiamo – persino estetici. La sobrietà e l’educazione nei verbi. La capacità di argomentare compiutamente e coerentemente, uno dei mali peggiori che affligge oggi l’Italia.

La classe politica, infatti, contagiata dal cattivo uso che troppi produttori, registi e autori hanno fatto negli anni del mezzo televisivo in particolar modo, ci ha portato a pensare in modo assolutamente sbagliato che semplicità e immediatezza coincidano con grevità e rarefazione dei contenuti, delle idee. O, ancor peggio se possibile, che vince chi parla alla pancia del Paese e non alla testa. Come se il Novecento non abbia avuto personaggi, anche in politica, dello spessore di Pier Paolo Pasolini, Aldo Moro, Giovanni Spadolini, Enrico Berlinguer.

Storie diverse, differenti visioni e punti di osservazione sull’Italia nella comune capacità di individuare, però, il male per la politica e per il Paese: la perdita dei valori fondanti, strutturali per il Paese. Un’idea di società fondata sulla pietas latina, per esempio, su un sentimento cristiano sociale radicato nei cattolici che si erano dati alla politica, come De Gasperi, ma prima e dopo anche nei sacerdoti che, sfidando spesso i non expedit più o meno ufficiali del Vaticano, hanno interpretato e vissuto la loro passione per la politica da sacerdoti e cittadini al tempo stesso: basti pensare a figure come don Sturzo e poi don Milani, don Dossetti, da più parti considerato padre del centrosinistra, fino ad arrivare appunto a grandi figure di uomini scopertisi pontieri in nome della buona politica come Aldo Moro e Berlinguer, fino a intellettuali laici e repubblicani del calibro di Giovanni Spadolini. L’Italia al centro delle loro idee. Oggi, invece, al centro delle idee di questa bassa politica che – con pessimi risultati – si è candidata alle ultime elezioni senza che nessun partito,vecchio o nuovo, abbia convinto gli italiani, continua a giocare solo e soltanto la partita del potere. I falchi del Pdl da una parte, i renziani del Pd dall’altra anziché collaborare con il Governo Letta che, nel bene o nel male, si trova a domare una tempesta quotidiana quanto ancora (altro che ripresina di Saccomanni) imprevedibile, si esercitano artatamente nel dar giù all’Esecutivo, un po’ come se la vicenda del Governo non li riguardasse. Il loro sogno, una sorta di biada per stolti o incoscienti ingordi, è quello di un voto ad ottobre di quest’anno. Per vincere e andare a comandare. Non esercitando la politica nel modo più nobile e unico di servizio al Paese ma per autocollocarsi al centro della vita pubblica senza poi spesso esserne all’altezza, confondendo i fatti della vita privata con la sfera pubblica, abusando del proprio ruolo pubblico per interessi privati, valicando coni carri cingolati e non col fioretto della nobile arte della politica, la sacrosanta divisione dei poteri che dai tempi della scuola ci vanno rispiegando.

Da vent’anni è passata l’idea malsana, per quanto a tratti drammaticamente vera, che vi sia in atto una guerra tra la gran parte dei magistrati della Procura di Milano, e poi ora della Consulta, accusata di comunismo, ora della Corte di Cassazione che, come nel caso del processo Mediaset, semplicemente si appresta a fare il proprio dovere. Lo diciamo, ovviamente, senza voler entrare nel merito del lavoro dei giudici passati e futuri.

Sta di fatto che, stando alla barzelletta sui giorni di riflessione (annunciati come blocco del Parlamento) chiesti dal Pdl e divenuti poi lo stop di poche ore (perché poi alla fine hanno dimostrato un po’ tutti di non voler forzare oltre) sulla graticola dei guai giudiziari di Berlusconi, che lo si voglia o meno, sono finite le sorti del Governo che, ricordava la Santanché, erano quanto mai appese a un filo. Appunto. Ognuno, insomma, continua a fare la parte della commedia. Solo in pochi si sono accorti che, piaccia o meno, i tempi stanno correndo. E se Berlusconi, da stratega che non intende minimamente piegarsi all’opera di magistrati che, se andrà male, saranno gli esecutori dell’ultimo atto della “guerra dei vent’anni” e lui il leader esiliato che continuerebbe a dare indicazioni ai suoi da lontano, tutti gli altri – forse compreso il re dei comunicatori degli ultimi trent’anni, proprio l’ex premier Berlusconi – stanno facendo fatica a comprendere la reale portata di quello che sta avvenendo nel mondo e pure nel BelPaese.

Se, infatti, la crisi morale e politica non ha affatto risparmiato la Chiesa cattolica, specie italiana, in Vaticano è asceso al soglio pontificio un uomo che sta mostrando giorno per giorno tutta la forza della sua tenerezza. Non sono le parole vibranti di papa Wojtyla. Politico, stratega, tragico interprete della crisi dei secolarismi e della fine delle ideologie. Non sono i verbi dalla forza sussurata ma tagliente del teologo papa Ratzinger. E’ stavolta l’irruenza del sorriso e della tenerezza di Papa Bergoglio. Un pontefice eletto con l’immediato predecessore ancora in vita. Un uomo venuto dall’altra parte del mondo, anzi, dalla fine del mondo – come ebbe a dire lui – uno dei tanti italiani finiti in Argentina da mezzo secolo, radici di campagna, come fu per un altro grande Papa, Giovanni XXIII. Un papa irriso dai suoi detrattori, Bergoglio. Moltissimi in Vaticano, specie tra gli italiani, lo considerano al pari di un curato. Chissà quando la smetterà di fare il parroco? Si chiedono molti porporati. Che, esattamente come i politici di casa nostra, faticano a capire il senso di tanto affetto verso Papa Francesco. E la ragione c’è. Francesco ma prima ancora Jorge Mario Bergoglio ricorda come si prendono un autobus o la metro. Il Papa va a saldare il conto in albergo. Il Papa scherza con tutti e non ha paura di additare la lobby cardinalizia al tempo stesso omosessuale e omofoba che c’è in Vaticano. Bergoglio dice che alla Chiesa non servono banche e auto di lusso, specie se poi lo Ior, altro che per le opere religiose, dovesse continuare ad essere usato come lavatrice di soldi dalle più varie e spesso impronunciabili provenienze.

Papa Francesco, per questo, parla dritto al cuore delle persone perché fa e capisce quello che facciamo e capiamo tutti. Non predica soltanto, come dice Cicchitto. Vive, semplicemente. Esattamente come le lobbies dei politici e cardinali italiani non sanno e non hanno alcun interesse a fare. Gente che, a fronte della povertà sempre più diffusa, continua per di più a ostentare senza porsi minimamente il problema e, cosa più grave, nemmeno l’imbarazzo.