di Adriano Palozzi*
Parlare di sentenza politica è un’opinione. Parlare di sentenza sbagliata è un fatto. Non si condanna un uomo senza prove contro. Non si condanna un uomo contro il quale nessuno degli oltre trenta testimoni ha pronunciato una sola parola. Non si presume che i testimoni siano bugiardi, aprendo di fatto un altro processo (tecnicamente lo dovranno fare i giudici istruttori dopo che i pm avranno fatto ulteriori richieste ma in effetti il la arriva proprio dalla corte di Milano) dando vita a quella che sempre di più sta diventando una saga, forse davvero l’atto finale della “guerra dei vent’anni”, titolo epico con cui le reti Mediaset – lasciando perplessi in molti nello stesso centrodestra – ha prodotto e mandato in onda i due documentari in difesa del loro fondatore ed ex editore.
Toni forti, che a tratti sembrano davvero epici e a tratti goliardici, come quelli della manifestazione organizzata da Giuliano Ferrara martedì sera in piazza Farnese a Roma e intitolata provocatoriamente “Siamo tutti puttane”. Forzature, provocazioni si sarebbe detto un giorno prima del fattaccio che tuttavia diventano quasi ordinari o addirittura per certi versi comprensibili e giustificabili all’indomani della presa d’atto di una sentenza che, lo ripetiamo, è stata pronunciata palesemente per colpire il capo del primo partito italiano. Una tesi, questa, che ha travalicato addirittura i confini del centrodestra italiano. Tutti abbiamo sentito persone, giornalisti certamente non vicini a Berlusconi (pensiamo a Mario Adinolfi, ex deputato Pd o Piero Sansonetti, ex direttore di Liberazione, già quotidiano di Rifondazione Comunista) parlare di decisione abnorme.
Riteniamo, infatti, che se si abbia a cuore la democrazia e nella mente un minimo di buon senso non si sia potuto non rimanere almeno allibiti davanti al pronunciamento di una magistratura che ha condannato Berlusconi sulla base di un teorema, senza una prova provata a carico dell’imputato, trasformando, anzi, una vicenda giudiziaria (a dirla tutta campata in aria…) in una questione morale e politica in cui i promotori sono le persone meno adeguate: addirittura la corte di un tribunale, quel tribunale che – arrivati a tanto bisogna dargli ragione anche su questo punto – proprio dall’inizio dell’inchiesta i legali di Berlusconi volevano ricusare. Anzitutto perché, posto che ci sia stata la concussione, smentita dalla commissaria testimone non creduta dai giudici, il premier l’avrebbe esercitata in quanto capo del Governo non in quanto privato cittadino che, altrimenti, certamente non avrebbe avuto il credito che ha avuto da parte di un commissario di Polizia. In tal caso poteva essere davvero pensabile sottoporre l’ex premier, almeno per l’accusa più grave – la concussione – al giudizio del Tribunale dei Ministri. Quindi, in ultima istanza, avanzando il legittimo sospetto nei confronti di una corte che ha dimostrato in ogni modo la sua ostilità verso l’imputato e verso quello che, evidentemente, non solo la pm Boccassini riteneva un “sistema” ma anche i giudici terzi, talmente terzi che, per affermarlo, hanno avuto bisogno di togliere di mezzo e, prossimamente, incriminare anche un plotone di testimoni. E la chiamano giustizia…
*Consigliere regionale Pdl