All’interno della rassegna di musica e teatro Potpourri, torna a Roma, presso la Casa internazionale delle donne, il 18 giugno, Re[L]azioni di Neil Labute con Bianca Nappi e la regia di Marcello Cotugno
Tre monologhi di Neil LaBute nati dal desiderio del regista di investigare la violenza nel suo aspetto più banale e brutale, così come si cela dietro la superficie di ciascuno di noi, affondando le proprie radici anche nel più normalizzato e tranquillizzante humus sociale.Un argomento, questo, che l’autore americano tratta, in questi testi come in altri, in maniera acuta e pungente.
Afferma Marcello Cotugno: “Esiste una complessa relazione tra il nostro Io quotidiano e quello non rivelato nei pensieri taciuti, nei gesti nascosti, segreti, nelle doppie vite o nei desideri inespressi, che ci avvicina ai personaggi di LaBute, rendendoceli prossimi nella loro complessa ambiguità. Un’attitudine alla virtualità delle esistenze, intesa come epilogo estremo e deludente della virtualizzazione creativa e feconda teorizzata da Pierre Levy, che, alimentata da giustificazioni auto-assolutorie e ridotta alla costruzione di un io alternativo, ci proietta, in fuga dal reale, verso rappresentazioni immaginifiche di una vita ideale (basti pensare a Second Life, Facebook o altre proiezioni social-identitarie) o verso microcosmi ludici delegati a esprimere, magari nella virtualità di un videogame, conflitti latenti.”
Totally, il primo dei tre monologhi, narra la vicenda tristemente ironica di una ragazza che, scoperto il tradimento del fidanzato mentre aspetta un figlio da lui, decide di attuare nei suoi confronti una spietata vendetta. Il gesto disperato e assurdo della ragazza diventa per LaBute metafora delle moderne reazioni-relazioni uomo/donna: non c’è dialettica tra i due amanti, solo un’azione spietata e paradossale, un gioco crudele, che rivela agli spettatori, come in uno specchio, il superficiale legame che intercorre tra loro e gli istinti primordiali che lo sottendono.
Bad Girl, il monologo centrale, è una lunga telefonata, in cui l’attrice, dal suo camerino – quasi ad anticipare il meccanismo del teatro nel teatro che si svilupperà nel terzo brano – elargisce consigli ad una amica abbandonata dal fidanzato, ostentando la gloriosa quanto insensata leggerezza della sua sessualità compulsiva, nichilisticamente consumata con degli ignari “sfigati” pescati a caso da Blockbuster o in qualche pub di periferia.
War on Terror, il terzo monologo (il cui titolo cita quello di un noto videogioco di guerra), prende spunto dalle strategie americane post-11 settembre per parlare di intolleranza. In scena c’è una giovane donna, il cui fidanzato è morto in Iraq. Rivolta al pubblico, con in mano una bandiera americana a cui si aggrappa in ricordo di lui, si lancia in un’invettiva spietata quanto esteriore al mondo islamico: la sua rabbia è nutrita non tanto dal dolore per la propria perdita, quanto dal qualunquismo livoroso e rivendicativo assorbito attraverso un’educazione miope e piccolo-borghese.