Nel mio lungo indagare la storia dell’arte contemporanea ho avuto modo di incontrare molti casi di precocità, uno dei quali riguarda proprio un pittore nato a Firenze allo sbocciare del 1900. Mi riferisco a Primo Conti, che giovanissimo colpì un altro precoce quale fu Pablo Ruiz Blasco, figlio di José, professore di disegno alla Scuola di Arti e Mestieri e Conservatore del Museo di Malaga, il quale, avendo notato le straordinarie doti del figlio decenne, gli regalò i propri colori, tavolozza e pennelli e abbandonò la pittura. Tra gli altri casi di precocità va segnalata la mostra d’arte infantile tenuta a Roma nel 1915 presso il Teatro dei Piccoli. In essa vi esponevano disegni futuristi l’undicenne Elica figlia di Balla e il dodicenne fratello di Cangiullo, Pasqualino, che poi Marinetti ribattezzò “Pasqualino 13 anni”. Con loro esponevano i figli del musicista Mascagni e del pittore Plinio Nomellini, Vittorino, più altri figli di artisti noti, dalla figlia del pittore e illustratore Adolfo De Carolis, Donatella, ai figli degli scultori Giovanni Prini, Giuliano, e di Arturo Dazzi, Romano. Quest’ultimo poi, appena quattordicenne, ebbe una vasta personale alla famosa Casa d’Arte Bragaglia, presentato niente meno che dal potente critico Ugo Ojetti, che del “prodigioso giovinetto” ricordava di averlo visto a quattro anni “bocconi sulla spiaggia di Viareggio tentar di fissare in linee un cavallo che faceva di gran salti”.
Vanno ricordati anche il compianto Carlo Cattaneo, che, “già dedito al disegno dall’età di 6 anni, quando da una terrazza tentava con i pastelli di restituire i colori della chiesa di Alassio”, a 12-13 anni aveva provato a copiare sui muri le pale d’altare di Grünewald da un libro; Pietro Gallina, il quale a 11 anni va a lavorare nello studio di cartellonismo di Armando Testa; Silvio Benedetto, che a 8 anni già nella natia Buenos Aires esponeva sue opere in un’esposizione di arte infantile, e Paolo Buttini, altro figlio d’arte, che da quando aveva 10 anni “cominciò a dare prova del suo talento nel disegno a china e nel modellato, incoraggiato, oltre che dal padre, anche da Arturo Martini, che rimase colpito dalle prime prove del ragazzo”, e quando aveva 15 anni, anch’egli con presentazione di Ojetti, tenne una personale all’Accademia di Belle Arti di Carrara.
Mi sono dilungato in questa documentazione, nient’affatto esaustiva, sui talenti artistici precoci per introdurre il discorso su Isabelle Salari, che, essendo nata il 28 novembre del 1998, ha ancora 14 anni ed è sbocciata, dopo alcune prove del 2005-06 (veri e propri incunaboli del suo fare attuale), come pittrice tra i 10 e gli 11 anni.
Devo la segnalazione di questa giovane, che non è figlia d’arte, alla gallerista romana Tiziana Todi. Dopo aver visto diversi dipinti di Isabelle, l’ho invitata lo scorso anno al XXXIX Premio Sulmona, dove ha portato Infinito maggio, acrilico su tela del 2012, tutto giocato su tramature bianche gestuali e taches,talora ottenute a dripping, su fondo nero, col risultato di “creare energie tensionali allo stato puro”, come notavo nel testo in catalogo, precisando come “sul buio del fondo scie di luce condensata fanno da controcanto a momenti di esplosione materica”, concludendo poi: “Senza dubbio si tratta dell’esplosione (‘gioiose deflagrazioni’ direbbe Bevilacqua) di un vistoso, in considerazione dell’età, talento emergente, che in altri dipinti è riuscito a toccare corde diverse, a conferma che, data la sua giovanissima età, è alla ricerca di un ubi consistam stilistico ed al tempo stesso linguistico, ricerca che, tuttavia, date queste premesse, lascia ben sperare”.
E’ chiaro che si tratta ancora di un vagare pittorico alla ricerca di un proprio lessico, che solo nel 2012 comincia a definirsi, anche se con risultati altalenanti, com’è logico per il totale abbandono alla spontaneità istintiva a cui s’affida Isabelle, che tuttavia ormai è più assidua nel dipingere, cosa che le permette anche di cimentarsi in formati maggiori di quelli degli anni precedenti, che andavano dai cm. 40×50 ai cm. 50×70.
La cospicua produzione accumulata dal 2011 ad oggi, naturalmente, presenta declinazioni lessicali differenziate, ancorché non prive di recuperi di soluzioni in precedenza usate o intraviste, per così dire. Tuttavia in questa montante e ribollente produzione di Isabelle si possono individuare filoni espressivi ricorrenti. Tra essi sono grafismi segnico-gestuali, oscillanti tra gli esiti meno significativi del 2011 (Musica, Eclisse solare, Il bacio, Barca indiana, Eclissi) e quelli più pregnanti del 2012, dalle venature con grumi color sangue su fondo verde di Tristezza della madre alle traiettorie in nero su bianco di Nervi ed al brioso e scoppiettante rosso di Germoglio di corallo del 2013 ed ai coevi Tesoro nero e Fiocchi di neve, vero e proprio negativo di Tesoro, realizzato il giorno precedente, che sempre nel 2013 prelude ai negativi in rosso di Eruzione del vulcano e di Preghiera dei beduini ed ha un più ricco risultato collaterale, qual è il connubio gestuale di verdi e rosa di Meraviglia del cielo (2013), forse il più cosmico dei dipinti della Salari.
Non di rado affiora il sostrato di memorie naturali. Ad esempio, il mare, com’è, per non dire dei citati Il naufragio e L’Oceano, in Mare nero, nel franto ondeggiare di Frammento di coniglietto, molto simile al mare mosso, ed alle mosse deformazioni come fossero riflessi sul pelo dell’acqua di Laguna verde, tutti lavori del 2012, così come non mancano, sempre nel 2012, il riaffiorare di immagini, e penso all’immagine volante di La morte, pittoricamente poco convincente, come del resto lo sono sia Gli occhi ed il volto diviso dell’acrilico La persiana.
Le corde dell’iconismo non sono le più consone al temperamento di Isabelle Salari. Ella si trova più a suo agio nella libertà espressiva ed esecutiva del linguaggio neoinformale. Infatti il nucleo, o meglio il ceppo base del suo dire pittorico è quello dell’utilizzo di più colori e dello spontaneo abbandono alla gestualità istintiva, che le permette, a presa diretta, di calare sulla superficie i coaguli, i filamenti, le gocce, le scie, le eruzioni e perfino gli schizzi dell’energia interiore di un fantasticare, che qualche volta è bipartito per accogliere gli opposti (Il bene e il male, 2012).
Non sempre Isabelle riesce a debitamente amalgamare gli strumenti del suo comunicare e allora i risultati non sono pregnanti, ma quando ella riesce a mettere all’unisono le sue doti coloristiche, gestuali e di controllo dello spazio, allora ottiene opere validissime, anche di diverse inflessioni linguistiche, vuoi scoppiettanti (Ninfe della laguna blu, 2012), vuoi di autentica action painting pollockiana (Il giardino rosso, Giungla, Ballo della pioggia, Kermanshah, Animale preistorico, Primavera, Stormo, 2012), vuoi di ricche tramature (Sinfonia di colori, Parterre di mimose, 2012) e di fluidità esecutiva (Tronco dell’albero, Il ballo della divinità, Eruzione del vulcano, Preghiera dei beduini, Falò della notte, 2013), vuoi di eleganti tessiture (Meraviglie sottomarine, 2012), vuoi cariche di mistero (Il tesoro, La medusa rossa, 2012; Nascita di una farfalla, 2013) e di suggestioni cosmiche (Ciclone cosmico, 2012), addirittura echeggianti visioni di microrganismi al microscopio (Vegetazione sotto il mare, 2012), giù giù fino al recente dipinto di oltre 3 metri Prigione nera, la maggiore a tutt’oggi prova di straordinaria, se si pensa all’età dell’artista, maturità di innata dote sia espressiva che di dominio dello spazio, maturità che le ha permesso di realizzare questo sapiente racconto di grafismi in nero, difficile da ottenere pure ad artisti di più consolidata storia personale.
Ed è proprio per questo che ritengo essere Prigione nera insieme un traguardo ed un nuovo punto di partenza.