L’amore per Papa Benedetto rende  ancora unito il gregge della Chiesa

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L’amore per Papa Benedetto rende ancora unito il gregge della Chiesa

benedetto xiv 3di Aldo Onorati

 Inutile ripetere che le dimissioni del Papa sono state un fulmine a ciel sereno, né il sottoscritto (come tanti altri, d’altronde) è in grado di conoscere le motivazioni profonde di un atto così importante, storico, planetario. Si può solo commentare “in proprio” un evento inatteso, inusitato da diversi secoli. Infatti, i servizi tv trasmessi da piazza San Pietro, dopo che il Papa è rientrato nelle sue stanze dall’incontro con la folla oceanica, colgono qua e là le impressioni dei fedeli, dei curiosi, italiani e stranieri. Ognuno dice la sua, i pro e i contro, ma su un punto tutti sono d’accordo: l’amore per Benedetto XVI.

Io credo che il Papa sia una figura talmente radicata in tutti noi, da divenire emblematica e simbolica d’un sentimento complesso: è la certezza, è la continuità nei millenni in un mondo in cui nulla dura, né gli imperi né le correnti ideologiche. L’essere umano non è più nella teoria tolemaica che lo rendeva creatura prediletta del Creatore dell’universo, il quale universo si riduceva alla Terra centro del firmamento, un globo immenso fatto per l’uomo, e tutto era finalizzato a noi. Poi è venuto Copernico a rompere i vetri della stanza tranquilla della “geocentricità”, e poi ancora si è scoperto che siamo alla periferia d’uno dei bracci della galassia (Via Lattea), ma esistono miliardi di galassie nel cosmo, ognuna contenente stelle a milioni, e certamente pianeti, buchi neri, nebulose… Insomma, l’uomo ha dovuto prendere atto di appartenere a un infinito completamente diverso dal piccolo mondo nel quale Dante ha potuto costruire il suo viaggio fantastico. E le certezze sono svanite. Il problema ha traballato a monte, anche se vi sono milioni e milioni di credenti per i quali la rivoluzione copernicana prima, e quella dell’astrofisica poi, appartiene alle sfere lontane del sogno o dell’inesistente. Comunque, nel nostro granello di sabbia sperduto nell’universo senza centro e senza margini, dobbiamo pur afferrare qualche gomena per non naufragare nell’oceano notturno in tempesta. E, per i cattolici, la figura dei pontefici, in carica “assoluta” (absoluta, cioè oltre le leggi) fino alla morte, dava una sicurezza al sentimento più che alla ragione, e il sentimento è la forza di trazione dell’individuo come dei popoli.

Adesso, le dimissioni del Pontefice hanno fiaccato, o messo a dura prova, questa certezza, dando un precedente che qualcuno già chiama la “relatività del tempo pontificale”. D’ora in poi, ogni Papa può deporre le due chiavi pietrine, quando crede opportuno. Ma questa osservazione è una delle tante che circolano in giro. Alcuni lodano il coraggio d’una decisione così importante; altri affermano che non si scende dalla Croce; altri ancora parlano di un “esempio” che scardina una certezza legata alla durata d’un regno particolare, un regno legato all’unione del Cielo con la Terra tramite il successore di Pietro. Ma c’è un’altra frase che circola come un interrogativo curioso (e non tanto): “Dopo il Conclave venturo, ma molto prossimo, vivranno –esisteranno – contemporaneamente due Papi! Qui non siamo di fronte alla cessazione di un mandato politico etc. Il Presidente della Repubblica lascia il posto a un altro, e tutto è andato sempre così. Il Re abdica, e non è più Re. Ma per il Papa il discorso è lo stesso?”

Debbono rispondere i teologi. E un teologo l’ho interpellato in proposito. Mi ha detto che il Papa cessa in fatto della sua stessa rinuncia. Quindi il Pontefice è uno; il dimissionario torna a essere Vescovo. Ma come ce la mettiamo con l’invadenza dei mass-media elettronici? I pochissimi precedenti (uno dei quali è stato trattato in altro articolo: Celestino V) che ci sono stati, appartenevano ad altri tempi, ad altre dinamiche dell’informazione: fra la moltitudine dei credenti e i principi della Chiesa non c’era il terribile, onnipotente e onnipresente tramite dei mass-media, i quali rendono sincronica e sempre presente qualsivoglia situazione.

Infine – ed è qui che s’appunta la mia questione -, all’improvviso ci si accorge della grandezza di questo Papa, sempre (e talvolta inopportunamente) paragonato al ciclone di Giovanni Paolo II, regnante per ben 27 anni. Mi viene in mente un’osservazione di Pasolini riguardo Paolo VI, in un’intervista di tanti anni fa. Diceva press’a poco questo: “Paolo VI non possiede la simpatia di Angelo Roncalli, ma è ugualmente grande”.

Benedetto XVI, di cui ho letto – l’ho già scritto in altri articoli – tutte o quasi le opere, è un pensatore gigantesco, un Papa schivo ma profondo, coraggioso, a modo suo fortemente combattivo. Solo che non possiede il carisma necessario ai mass-media, la forza d’impatto con le folle, il fascino dei trascinatori di masse e degli attori travolgenti. Giovanni Paolo II è stato un gigante, ma Benedetto XVI non è da meno, e la sua mancanza la sentiremo: anzi, già si sente, si carpisce nell’aria la scoperta dell’amore e dell’ammirazione per lui ora che non c’è più. Se il Papa polacco era un turbine, il Papa tedesco è un maestro di “sapientia cordis”, di misura, di umiltà, di dubbio fecondo –e altamente cristiano – circa se stesso (in un mondo in cui, purtroppo, i dubbi sorgono solo verso gli altri!).