Così Mosca vuole impedire per legge che gli americani adottino i propri orfani
di Enrcio Oliari
E’ tutt’altro che roseo il rapporto fra la Russia di Putin e gli Stati Uniti di Obama: già l’incontro di giugno fra i due leader, a margine del G20 di Los Cabos, in Messico, aveva mostrato musi lunghi e sorrisi solo per le foto ufficiali, vuoi per l’accordo sul disarmo poco rispettato da entrambe le parti, per l’annosa questione dello scudo spaziale o per la guerra civile in Siria, unico paese con una base russa, a Tartus, in uno scacchiere che va dal Marocco al Kyrghizistan che ospita, Iran escluso, basti statunitensi; poi i ‘piccoli’ incidenti fra le due nazioni, come il super-drone americano fatto cadere dalla tecnologia russa mentre sorvolava l’Iran ed ancora il razzo russo Zenith, lanciato dal Pacifico lo scorso primo febbraio con a bordo il satellite di telecomunicazioni Usa Intelsat 27, inabissatosi a pochi metri dalla rampa di lancio.
Il botta e risposta fra le due potenze è ormai all’ordine del giorno, quasi si stesse restaurando un clima da Guerra fredda, persino con accuse a vicenda di calpestare i diritti umani: i primi a muoversi sono stati gli americani, che nel dicembre scorso hanno introdotto il “Magnitsky Act”, cioè una legge che impone sanzioni fino al divieto di entrata negli Stati Uniti ai funzionari russi sospettati di essere coinvolti in violazioni dei diritti umani. Sergej Magnitsky era un avvocato moscovita dipendente della società legale americana Firestone Duncan ed aveva avuto il coraggio di denunciare una maxi-frode da 230 milioni di dollari in cui era implicato il Ministero dell’Interno russo: arrestato nel 2008, Magnitsky è morto in carcere l’anno successivo, in circostanze misteriose.
Putin ha definito la legge un “atto di inimicizia che avvelena le relazioni tra i due Paesi” e la risposta di Mosca è arrivata subito dopo, a distanza di pochissimi giorni, con l’approvazione alla Duma (il Parlamento russo) e il via libera del capo del Cremlino della legge “Dima Yaklovev”, dal caso di un bambino russo adottato negli Stati Uniti e morto in quanto dimenticato in auto dal padre in auto; l’uomo è stato assolto dalla Giustizia americana, cosa che ha provocato un’ondata di sdegno nell’ex nazione sovietica, dove anche l’arciprete Vsevolod Chaplin, responsabile del Dipartimento per le relazioni tra la Chiesa e la Società del Patriarcato di Mosca, ha blindato l’iniziativa parlamentare affermando che “è il tentativo di dare risposta a una domanda elementare: perché dobbiamo vendere i nostri bambini all’estero?”.
Immediatamente è stata bloccata la partenza di 52 bambini verso gli Stati Uniti, con il conseguente stress psicologico e la perdita del denaro (50mila dollari) per le coppie che li aspettavano, mentre dal primo gennaio le coppie americane non possono più adottare minori russi. L’Agenzia americana per le adozioni ha fatto sapere che erano già 250 le coppie di statunitensi che avevano preso contatti per adottare bambini in Russia, mentre negli ultimi due decenni sono ben 60mila i minori che dal paese di Mosca sono stati adottati negli Stati Uniti.
Numerose le proteste nei confronti di Putin, accusato di usare i bambini come scudi umani nella geopolitica fra le due potenze, ma anche a Mosca c’è chi ha alzato la voce contro il provvedimento, come il potente e fedelissimo di Putin ministro degli Esteri e dell’Educazione scolastica Sergej Lavrov ed il viceministro con delega agli Affari sociali Olga Golodets.
E’ vero: se gli Stati uniti dovessero chiudere le porte a tutti coloro che calpestano i diritti umani nel mondo, gli aerei per Washington viaggerebbero mezzi vuoti; si chiede tuttavia l’attivista Lev Ponomarev, pensando ai 740mila bambini in attesa di essere adottati: “sono proprio i parlamentari che dovrebbero adottare quei bambini. La responsabilità morale è loro, ma credo che nemmeno uno di questi bambini troverà una famiglia tra i deputati della Duma”.