Manifestazione sotto l’ambasciata italiana a Tunisi. I genitori sono sicuri: i ragazzi sono vivi in Italia. Segretato l’accordo tra i ministri degli interni delle due nazioni. Perché? Le testimonianze raccolte sul posto dal cronista de Le Città, l’unica testata italiana presente
di Enrico Oliari
Un misto di rabbia, di delusione e di speranza ha spinto oltre 200 persone, per lo più donne, ad esprimere con forza la loro protesta venerdì scorso nei pressi dell’ambasciata italiana a Tunisi: già alle 10 del mattino i manifestanti si erano raccolti presso un piccolo parco antistante la rappresentanza diplomatica di rue Jamel Abdelnaceur, per poi dirigersi in massa verso l’entrata degli uffici attigui, in rue de Russie, scandendo slogan e tenendo bene in vista le fotografie di giovani, spesso neanche maggiorenni. “Portano le immagini dei ‘tunisini scomparsi’ – spiega Myriam Mnaouar, un’esile ma energica giovane che presiede il Parti Tunisien – cioè di quei 250 che sono stati dati per dispersi nella traversata verso l’Italia, ma che, a differenza di molti altri spariti nel mare, sono stati visti sbarcare sulle coste siciliane dalle immagini dei telegiornali italiani, o ancora che hanno fatto sporadiche telefonate ai loro cari, o che in qualche modo hanno dato un segnale di essere in vita”.
In passato avevamo già dato notizia del caso dei giovani di cui non si sa più nulla da quasi due anni, ma che i parenti giurano essere arrivati in Italia a bordo di quelle che da noi si chiamano ‘carrette del mare’, ma che nel Nordafrica prendono il sinistro nome di ‘barche della morte’.
Le mamme, i papà ne sono certi: i loro figli sono in Italia o quanto meno in Europa, cioè hanno superato quel braccio di mare che separa la sicura miseria da un sogno forse utopico, tuttavia migliore di un futuro a casa loro fatto di povertà e di disoccupazione.
“Noi non ci rassegniamo – riprende Mnaouar fra le grida della donne avvolte nei veli ed i colpi sul portone dell’ambasciata, a stento protetto da un cordone di polizia tunisina – . Oggi siamo qui a manifestare perché i conti non tornano, perché le risposte che arrivano sia da Roma che da Tunisi sono confuse, quasi ci sia un muro di omertà istituzionalizzato o qualcosa da nascondere. La Tunisia, per esempio, ha fornito all’Italia quelle che sarebbero dovute essere le impronte digitali degli scomparsi ebbene, risalivano al 1998, quando molti dei giovani erano ancora bambini, tanto che lo stesso ministro Cancellieri ha detto di tenerne in considerazione solo … due 250! E poi ancora, l’intesa firmata dal ministro Roberto Maroni e dal collega tunisino Habib Essid il 6 aprile 2011, un mese dopo le sparizioni: è tutt’ora rimasta un segreto, di cui è trapelato pochissimo, cioè una marea di soldi e di mezzi dati dall’Italia alla Tunisia per bloccare le partenze”.
Gli immigrati che avevano attraversato il mare nel 2011 erano oltre 60mila; era l’epoca delle ‘primavere arabe’, delle fughe dalla guerra della Libia; in quasi 2000 erano stati inghiottiti dalle acque del canale di Sicilia, Lampedusa era divenuta improvvisamente teatro di un’emergenza umanitaria senza precedenti. Si era pensato a interventi per alleggerire la pressione sull’isola italiana, come un permesso di soggiorno valido per sei mesi, prontamente rifiutato dalla Francia, che aveva chiuso il valico di Ventimiglia.
Tuttavia, se è facile reperire in rete il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, datato 5 aprile 2011 che stabiliva le misure urgenti per far fronte alla situazione dei nordafricani sbarcati, altrettanto non lo è per l’intesa firmata dai due ministri degli interni, lo stesso girono, per impedire le partenze: nel resoconto stenografico dell’audizione del ministro Maroni davanti alle Commissioni riunite di Affari costituzionali, Presidenza del Consiglio, Interni e Affari esteri e comunitari del 12 aprile 2011 si legge di quattro motovedette, autoveicoli e fuoristrada, per un valore complessivo di circa 30 milioni di euro, oltre all’invio di personale per la formazione delle Forze di polizia; tuttavia le notizie trapelate hanno riportato anche della fornitura di apparecchiature elettroniche e soprattutto dell’impegno da parte dell’Italia di farsi promotrice in Europa di un piano di crediti allo sviluppo per 4 miliardi e mezzo di euro a favore della Tunisia.
A distanza di quasi due anni si fanno sempre più forti le proteste dei famigliari dei 250, rimasti impigliati, nonostante gli accordi e le intese, chissà dove.
In rue de Russie si sfiorano i momenti di tensione, tutti vogliono entrare, spingono, qualcuno viene anche alle mani. Gli slogan sono contro l’Italia, contro la Tunisia, “dove sono i nostri figli? Ridateci i nostri figli!”. Le mamme si fanno fotografare con le immagini dei ragazzi, “magari qualcuno che conosce mio figlio vede la foto in Italia grazie al vostro giornale, così ci fa sapere qualcosa”, dice una di loro, mentre a stento trattiene le lacrime.
“Non ci basta essere stati ricevuti dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – riprende l’esponente del Parti Tunisien – o aver incontrato rappresentanti del Parlamento: a due anni dalle sparizioni vogliamo risposte precise. Possibile che le istituzioni italiane ed europee non riescano a trovare 250 persone? E’ stata fatta un’interrogazione parlamentare, alcuni famigliari dormono da mesi per strada o in alloggi di fortuna a Roma, perché non vogliono tornare a casa senza qualcosa che sia più di una risposta vaga, di uno scrollamento di spalle. E colpe ce ne sono anche da parte della Tunisia: perché, ammesso che alcuni possano essere in carcere, il consolato di Milano non ha dato il via libera a che eventuali detenuti possano contattare le loro famiglie a casa?”.
“Mio figlio mi ha chiamato un mese fa, dopo due anni – urla un uomo sulla quarantina, in un italiano stentato – la telefonata è durata solo pochi secondi, non sono riuscito a sapere dove si trova”. “Il mio… guardi sul mio cellulare… mi è arrivato un paio di mesi fa questo mms: è su un molo a Pantelleria, fra due poliziotti”, spiega una donna che fatica a tenersi in piedi nella calca.
Bussiamo anche noi al portone dell’ambasciata, lasciano passare solo i giornalisti italiani, in fondo è anche casa nostra.
“Purtroppo non possiamo fare nulla in quanto ambasciata – spiega Andrea della Nebbia, responsabile della Cancelleria politica e dei rapporti con la stampa – perché il caso dei tunisini scomparsi, o presunti tali, è in mano ai rispettivi ministeri degli Interni. L’ambasciatore ha già ricevuto in più occasioni le delegazioni dei parenti ed ha trasmesso le informazioni all’organismo centrale. La manifestazione di oggi, con le grida, i colpi sulla porta, non ha molto senso, in quanto da parte nostra c’è stata la massima disponibilità a collaborare, per quanto possibile e di nostra competenza”.
Usciamo, ci rituffiamo nel marasma della folla che urla, che scalcia, che vuole fare arrivare a Roma un messaggio di non arrendevolezza e magari un saluto, ad uno di quei giovani spariti nel nulla. Tutti vogliono dire la loro a Le Città, l’unica testata italiana presente insieme alle moltissime della Tunisia e di altri paesi, segno che dare voce al dramma umano o incarnare la speranza di centinaia di genitori al di là del mare paga meno degli interessanti dibattiti che stanno colorando la campagna elettorale appena iniziata. Ma questa è tutta un’altra storia.