Piccole speranze tengono in vita lo stabilimento dove si stampava il fumetto di Topolino
di Alessandro Bellardini
Sembrano non essere bastati i numerosi tagli di personale che in dieci anni hanno portato i dipendenti della ex Mondadori Printing di Pomezia ad una riduzione da 130 a sole 39 unità. E anche Loro sono oggi a rischio. La società, un tempo facente parte del gruppo Mondadori, è stata ceduta nel 2008 alla famiglia Pozzoni di Bergamo e è sempre stata un fiore all’occhiello nel settore. Lì si stampavano lavori che venivano immessi sui mercati editoriali di tutto il mondo, come i fumetti di Topolino, prodotto in tante lingue, russo compreso. Purtroppo, i dipendenti che da più di 20 anni erano in forza alla società, si trovano ora dinanzi al terribile spettro della chiusura. Non sembrano essere serviti gli interventi che il gruppo Pozzoni aveva già messo in atto per poter arginare la crisi, come chiusure di reparti e ampliamenti di mansioni. A oggi le notizie non sono confortanti e le proposte inoltrate dalla dirigenza per salvare la situazione non possono essere accettati dai lavoratori: riduzione delle retribuzioni del 25%, cancellazione dei premi produzione, aggiunta di turni procapite, diminuzione del personale addetto ai macchinari. Per dire no a tali misure, i dipendenti dello stabilimento di Via Costarica – in accordo con sindacati, sono da giorni in presidio permanente dinanzi ai cancelli dell’azienda, in attesa di incontrare i vertici dopo le festività per tentare un accordo più accettabile. Ai sindacati sembrano non tornare i conti: il gruppo Pozzoni è il terzo polo della stampa in Europa e nelle operazioni di esternalizzazione dalla Mondadori del 2008, vi rientra la sottoscrizione di un contratto di stampa che lega fino a tutto il 2016 Arnoldo Mondadori Editore a Pozzoni. Alla base di ciò, era stato delineato un piano industriale in cui lo stabilimento di Pomezia doveva essere un cardine delle attività del gruppo per ciò che riguarda la stampa di riviste periodiche e cataloghi commerciali. I lavoratori temono che queste manovre celino una strategia aziendale che, nel breve, potrebbe portare alla chiusura anche delle altre sedi nelle province di Verona, Vincenza, Bergamo e Trento.