di Marco Montini
Ricomincia dal Tribunale Civile di Roma la ricerca della verità sul rapimento di Davide Cervia, l’esperto di guerre elettroniche scomparso a due passi dalla sua casa di Velletri nel settembre ’90 proprio alla vigilia del conflitto del Golfo. Da oltre vent’anni la famiglia del tecnico ligure vuole sapere che cosa sia realmente accaduto quel maledetto giorno e il 7 dicembre dunque ripartirà con forza il viaggio della speranza. Venerdi tutti davanti ad un giudice per la prima udienza del processo, intentato dalla famiglia Cervia, che ha citato in giudizio i ministeri di Giustizia e Difesa, chiedendo al contempo il risarcimento danni “per la violazione del diritto alla verità”, cioè per “quei silenzi e le bugie di questi anni intorno alla vicenda di mio padre”, confida Erika. Che poi racconta di un fatto agghiacciante, accaduto a metà ottobre a casa Cervia: “Una forte esplosione ha investito il locale cucina della nostra abitazione. I Carabinieri di Velletri, giunti subito sul posto, hanno ipotizzato una fuga di gas. Se fosse stata la bombola a esplodere però avrebbe distrutto la macchina del gas e danneggiato in modo evidente l’interno del locale e la bombola stessa. Ma è tutto integro, sono esplose solo la porta e la finestra”. Un atto intimidatorio? “Qualcuno – chiosa Erika – ha timore che emergano verità scomode e vuole frenare le nostre ricerche, ma nonostante la paura che ci sta distruggendo la vita, non ci arrenderemo finchè non sapremo la verità su mio padre”.