di Daniele Priori
Marco Del Greco ha trent’anni. I lettori de Le Città lo hanno conosciuto di recente su queste pagine grazie al ricordo commosso e personale che ha scritto per noi nei giorni in cui si salutava con mestizia la scomparsa del grande compositore Hans Werner Henze che Del Greco ha avuto modo di conoscere e frequentare artisticamente negli ultimi cinque anni della vita del grande musicista. Cinque anni, questi ultimi, nei quali Del Greco, professore di musica in una scuola dei Castelli ma antiaccademico quanto basta da arrivare in Giappone, vincere, come è avvenuto nel 2010, il più prestigioso concorso chitarristico del mondo, sconfiggendo i padroni di casa e riscuotendo l’amore della popolazione e degli stessi musicisti nipponici. Un sentimento pienamente ricambiato e nuovamente testato in una splendida e lunga tournèe tenuta un anno fa giusto di questi tempi. Momenti magnifici in giro per il mondo che non impediscono comunque al maestro Del Greco di amare la sua Roma. Sua anche a livello musicale, essendo stato lui allievo e poi amico di due grandissimi, i fondatori, della cosiddetta scuola chitarristica romana: il grande Mario Gangi, scomparso pochi anni fa, e Carlo Carfagna che di Del Greco è stato maestro al Conservatorio fino al traguardo del diploma. Fatto sta che Del Greco fino al prossimo 4 dicembre quando concluderà con un suo concerto, è impegnato in questi giorni a Roma nel ruolo di direttore artistico del Roma Guitar Festival organizzato dall’associazione NuMus presso la basilica di San Giovanni a Porta Latina.
Una settimana di grande musica per chitarra a Roma. Come ti è venuta l’idea?
“L’idea mi è venuta girando per il mondo per i miei concerti. Ovunque ho trovato una grande attenzione nei confronti della tradizione musicale italiana e un amore nei confronti delle nostre bellezze architettoniche e paesaggistiche. Spesso noi romani non siamo consapevoli dei luoghi che ci circondano e solo tornando da un lungo viaggio, a volte, prendiamo atto di ciò. Da questi pensieri ha preso forma il Roma Guitar Festival, una rassegna di concerti dedicati alla chitarra classica ospitati in luoghi di assoluto pregio storico e artistico della Capitale, in particolare quest’anno la Basilica di San Giovanni a Porta Latina”.
Da dove arrivano gli artisti che parteciperanno?
“L’apertura del festival il 27 novembre è stata affidata ad un duo di musicisti abruzzesi, il (MU)SiCk Project (Massimo Di Gaetano, chitarra e Alessandro Scenna, percussioni e oggetti) con un programma incentrato sulla musica improvvisata e d’avanguardia, comprendente fra l’altro brani di John Cage nel centenario dalla nascita. Sabato 1 dicembre sarà la volta di un chitarrista compositore torinese, Giorgio Mirto, che proporrà un recital di sue composizioni originali e di brani a lui dedicati da compositori argentini e italiani. L’ultimo appuntamento di martedì 4 dicembre mi vedrà impegnato in duo con il violista Daniel Palmizio, nato nel Regno Unito ma residente nella Capitale, con musiche di grandi compositori quali Schubert, Paganini e Villa-Lobos. Particolare non da poco, tutti i concerti sono a ingresso gratuito”.
Tu sei al tempo stesso un giovane professore e un chitarrista esperto che ha già girato una bella fetta di mondo: come passa il messaggio musicale in Italia tra i trentenni, tuoi coetanei, e quanto eventi come questo festival, animato da menti giovani, può aiutare la musica colta a uscire dalla gabbia più o meno dorata che è l’accademia?
“Innanzitutto voglio mettere in chiaro una cosa: le accademie italiane, nel particolare i Conservatori, forse possono essere delle gabbie, ma al loro interno d’oro c’è ben poco.. Quando, in tempo di crisi e spending review, il primo gesto della classe politica che governa il Paese da anni è tagliare i fondi all’istruzione, alla ricerca e alla cultura, quando capisci che lo stesso sistema di reclutamento dei docenti di Conservatorio si basa oggi sulla precarietà, su meri ‘pezzi di carta’ o su un unico concorso nazionale risalente ai primi anni novanta, allora puoi iniziare a renderti conto che la gabbia è stata costruita per tenere fuori i giovani dalla cultura. Tutto ciò si riflette nella ricettività del pubblico, soprattutto quello più giovane. Detto questo, piangersi addosso non serve a nulla. Un bel messaggio credo sia l’età media degli artisti e di chi lavora al progetto del Roma Guitar Festival: trent’anni”.
Ti stai rendendo protagonista di una carriera internazionale, incontrando esperienze artistiche e umane che vanno da Hans Werner Henze a importanti compositori e autori dell’estremo oriente ma ti sei formato nella cosiddetta “scuola romana”. Come sta la musica a Roma?
“Per la musica di qualità dal vivo non così male, basta saper cercare. Su tutte abbiamo l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia che ospita ogni anno grandi musicisti nella propria stagione sinfonica e cameristica. Proprio in questo ambito, nella Sala Santa Cecilia del Parco della Musica, ho ascoltato due anni fa la prima esecuzione di una delle ultime opere di Henze, Immolazione, commissionata dall’Accademia ed eseguita dall’orchestra diretta da sir Antonio Pappano”.
Il Roma Guitar Festival suonerà anche note del grande Mario Gangi. Tu le sei stato affezionato e vicino. Ricordacelo artisticamente e umanamente in cinque aggettivi.
“Allegro, eclettico, esigente, solare, romano (e romanista)”
Un genio come Franco Battiato cantava: “Mandiamoli in pensione i direttori artistici, gli addetti alla cultura”. Tu che direttore artistico sei per questo festival?
“E’ sintomatico il fatto che anche Battiato ora abbia cambiato idea e si stia rimboccando le maniche in prima persona. Il direttore artistico comunque da solo non riuscirebbe ad organizzare nulla. Io devo ringraziare Mirko Ceci che, spesso dietro le quinte, rende possibile nella pratica organizzativa la realizzazione del festival e Paolo Petrocelli per la promozione e l’ufficio stampa”.
Chiuderai con un tuo concerto. Rispetto ai tuoi ultimi concerti dedicati alla musica contemporanea giapponese, sei tornato in occidente: vedo Schubert e Paganini…
“In generale nei tre concerti del festival ho voluto che il pubblico si avvicinasse alla chitarra da tre punti di vista diversi. Il concerto mi vedrà protagonista con Daniel Palmizio, uno dei violisti più affermati al giorno d’oggi. Il repertorio comprende cinque antiche danze francesi di Marin Marais, la bellissima Sonata di Schubert cosiddetta Arpeggione dallo strumento per cui è stata originariamente composta (a metà tra una chitarra e un violoncello), la Bachiana brasileira n.5 del compositore brasiliano Villa-Lobos e la Sonata per la Gran Viola di Paganini, dove la viola ha un gran bel da fare! Vi aspettiamo quindi alla Basilica di San Giovanni a Porta Latina il primo e il 4 dicembre alle ore 21. L’ingresso è gratuito.