Una finestra sulla televisione attraverso le parole di chi la vive ogni giorno, la produce, la pensa, la conduce. TeLeCittà, a proposito di quell’ “ipermediazione” che il nostro settimanale nel suo piccolo sta tentando di realizzare. Non senza, però, gettare un pensiero a quella che i cultori della bella parola chiamerebbero “la mozione degli affetti”. Come primo ospite della nostra rubrica, infatti, abbiamo scelto un amico che il nostro settimanale, ovvero i nostri lettori su carta o sul web, oltre a noi che settimanalmente diamo vita a Le Città non possiamo non amare. E’ grazie a lui, l’indiscusso signore delle notti del Tg5 se il nostro giornale, sin da appena nato, ha superato prima il confine dell’anonimato, poi quello di Roma e del Lazio. Pertanto, oltre agli indiscussi meriti, delle vere e proprie medaglie al valore della sua carriera che ci ha ben raccontato in queste righe,la nostra scelta, anche per gratitudine, è ricaduta su di lui in un momento peraltro speciale della sua vita: l’addio al Tg5 dopo vent’anni esatti. Perché Paolo Di Mizio era tra i pionieri del tg fondato da Enrico Mentana. Un passaggio che Di Mizio, già autore del bel libro “Storia di Giuseppe e del suo amico Gesù”, romanzo edito da Marsilio nel 2007 intende segnare con altre opere letterarie e, per ora, con una iscrizione a Facebook tanto agognata dai suoi fan che affettuosamente – un po’ come noi – ne seguivano le gesta, raccontando notti insonni, sogni realizzati o mancati attorno alle sigle di inizio e fine del tg della notte con immancabile rassegna stampa firmata appunto Paolo Di Mizio. E del gruppo Facebook sono le foto di quell’ultima notte al Tg, poco più di un mese fa.
Paolo, sappiamo che è difficile ma prova a raccontarci vent’anni di nottate in redazione in poche righe…
“Be’ quando il grosso dei giornalisti andava via intorno alle 20,30 ogni sera, e in redazione rimaneva solo la piccola pattuglia da me guidata e destinata al turno di notte, a me sembrava che cominciasse un tempo magico, una specie di spazio favolistico dove non è più oggi e non è ancora domani. In quella dimensione un po’ surreale si cominciava a preparare la rassegna stampa e il tg della notte, con un occhio alle notizie in previsione per domani. Insomma la notte era una specie di torre dalla quale vedevi l’oggi e il domani, il passato e il futuro. Un luogo dell’anima. E mi piaceva molto”.
Raccontaci delle altre tue avventure televisive, dei tuoi inizi, delle tue emozioni…
“La prima volta che lavorai in televisione fu con Maurizio Costanzo, a Contatto, che era il telegiornale di Pin (Prima Rete Indipendente), una tv della Rizzoli-Corriere della Sera. Erano i tempi pionieristici delle prime tv private nazionali. Quando mi assunsero, quasi mi dispiacque: mi piaceva scrivere per i giornali e pensai ‘adesso addio carta stampata’. Ma appena cominciai ad usare la tv me ne innamorai. Capii che era mille volte più potente della carta stampata. La sera portavo a casa i testi dei miei servizi, li rileggevo al registratore e poi mi riascoltavo per cogliere gli errori di intonazione, di respirazione… Ricordo il giorno in cui per la prima volta mi affidarono un servizio ‘con sottofondo musicale’. Me lo commissionò il vicedirettore, Angelo Campanella, un maestro di televisione e poi un grande amico. Scelsi la musica di Wish you were here dei Pink Floyd. Forse per questo la considero la canzone più bella di tutti i tempi”.
Il fatto, la storia che hai raccontato e ti ha emozionato, indignato o commosso di più?
“Be’, tanti fatti, tante storie. Diciamo che il mio primo scoop è legato all’attentato a Papa Giovanni Paolo II. Quel pomeriggio tutti i giornalisti corsero all’ospedale Gemelli, dove era ricoverato il Papa e dove naturalmente non poteva entrare nessuno. Io invece mi precipitai all’ospedale Santo Spirito, dove era ricoverata una turista americana ferita a un braccio da un proiettile sparato da Ali Agca. Al momento dell’attentato la donna si trovava a un metro o due dal Papa. Poiché parlavo molto bene l’inglese, riuscii a convincerla a raccontarmi tutto davanti alla telecamera. Sei o sette minuti di intervista in inglese. Fu un gran colpo per Contatto. Il filmato fu venduto in tutto il mondo: era l’unica testimonianza diretta sull’attentato al Papa. Due giorni più tardi tornai nell’ospedale. All’ingresso del reparto un signore con cappello da cow-boy, un parente della ferita, esclamò: ‘Mio Dio, ti ho visto alla Cnn a Buffalo proprio ieri’. Pensai: non c’è nulla più potente della televisione”.
Hai avuto un mito tra i giornalisti televisivi italiani o internazionali?
“Uno: Indro Montanelli”.
E tra i personaggi intervistati, quali ricordi?
“Ne ho intervistati tanti, ma… diciamo che tre mi hanno impressionato per il loro carisma: Margaret Thatcher, Bill Clinton e… Paul MacCartney, l’ex Beatle”.
E’ un bene o un male che il giornalista televisivo, specie il conduttore, diventi in qualche modo anche “personaggio” e entri nei cuori della gente?
“E’ un bene, in teoria. Ma va detto che per i conduttori dei tg in Italia questo non accade quasi mai. Molte volte il conduttore rimane anonimo, non “sfonda” nel cuore della gente. Diversa la situazione negli Usa: lì il conduttore viene detto “anchorman”, l’uomo-ancora (ma lo stesso vale per le donne, naturalmente), perché l’immagine e la forza del tg sono ‘ancorati’ alla sua credibilità nel raccontare la giornata. Non a caso gli ‘anchor’ americani conducono dal lunedì al venerdì, sempre alla stessa ora. In Italia invece i conduttori si alternano: in genere sono quattro per ogni edizione e quindi ognuno appare una settimana al mese. Questo indebolisce il legame con il pubblico e alla fine serve solo a rendere tutti omologati, tutti più o meno uguali”.
Raccontaci dal tuo punto di vista qualche “personaggio” tra i tuoi colleghi a Mediaset… Chi vince e chi perde secondo te?
“Non faccio elenchi di vincitori e vinti, per carità. Mi piace piuttosto ricordare uno dei direttori del Tg5, Carlo Rossella, che aveva e ha una impareggiabile duttilità giornalistica: è un raffinato cronista di ‘nera’, è un gran conoscitore di politica estera, è un arguto analista di politica interna, ma non gli sfugge neppure l’ultimo gossip. Dirigeva il tg con immaginazione, con classe e con umanità ma anche con polso fermo. E per giunta parla diverse lingue straniere”.
La cosa più strana successa in redazione. Quella più triste. Quella più bella. Quella più commovente. Pesca tra i tuoi ricordi...
“Essendo vissuto per venti anni più in redazione che a casa, non basterebbero tutte le pagine di questo giornale. Diciamo che l’ultima grande emozione è stata la mia ultima sera al tg. La riunione di scaletta alle 20,30 si è trasformata in una festa di addio: decine di colleghi produttori, tecnici, che venivano ad abbracciarmi. Poi a mezzanotte e mezza è andato in onda il tg con la mia ultima rassegna stampa. Al termine della rassegna ho detto due parole di saluto ai telespettatori. Poi è partita la sigla e in quel momento decine di colleghi, tecnici, amici, sono entrati nello studio battendomi le mani. Alberto Duval, che conduceva insieme a me, mi ha abbracciato e gli sono venute le lacrime agli occhi. Ecco, quella notte, rimasto infine solo, sono tornato a casa avvolto da un alone indescrivibile di emozione”.
La rassegna stampa. Tu riuscivi a sfogliare giornali e… giornalisti in pochi secondi, disegnando in pochissime parole le loro presentazioni/carte di identità che spesso hanno incuriosito o invitato a leggere. Che rapporto c’è tra carta stampata e tg e tra giornalisti della carta stampata e dei tg?
“Io adoro i giornali e credo che questo si vedesse attraverso lo schermo. Il rapporto tra carta stampata e tg è di simbiosi. Talvolta di cannibalismo. I giornali spesso impostano la prima pagina sugli argomenti valorizzati dai tg della sera, mentre i tg spesso cavalcano – il giorno dopo – uno scoop o un tema imposto da un quotidiano. Ma la differenza sostanziale rimane una sola: la carta stampata ha più capacità e spazio per approfondire. Il tg si guarda per le notizie, il giornale si legge per le analisi e le opinioni”.
Un voto all’informazione tv in Italia. Quale il Tg più bello, quale il più intelligente, quale il più…brutto?
“Se dovessi fare una pagella generale, mettendo dentro tutti i programmi informativi e non uno in particolare, come voto darei un 6 meno. E’ la media tra qualche otto e diversi quattro. Dovremmo tutti fare un po’ di più e un po’ meglio”.
Marco Montini e Daniele Priori